lunedì 5 dicembre 2011

MONEYBALL - L'ARTE DI VINCERE di Bennett Miller (2011) [29° TORINO FILM FESTIVAL]


La Hollywood mainstream nel suo abito migliore: grande sceneggiatura e un ottimo Brad Pitt per un film sul baseball che non parla di baseball

Billi Jean è il manager degli Oakland Athletics, una squadra di baseball incapace di competere con i budget dei big della Major League del statunitense. Perse le sue stelle, Jean è costretto a reinventarsi e a cambiare strategia. E' Il giovane Peter Brand, laureato in economia a Yale con il massimo dei voti, a fornirgli l'idea rivoluzionaria: mettere in piedi una squadra non fondata sulle superstar dei baseball, ma su un collettivo scelto in base ad un'elaborata analisi statistico-matematica.

Scritto da Steve Zailian e Aaron Sorkin dopo una gestazione un po’ problematica e diretto dal premio Oscar Bennet Miller (Truman Capote), Moneyball è tratto dall’omonimo libro di Michael Lewis che racconta la stagione 2001 degli Oakland Athletics e del loro General Manager Billy Bean. Il film, presentato prima al festival di Toronto e poi al nostro Torino Film Festival in anteprima nazionale, prende vita dall’idea rivoluzionaria che un giovane genio dell’algebra neolaureato presenta al Manager Billy Bean: mettere insieme una squadra di Baseball rinunciano alle star e puntando tutto su un collettivo fatto di giocatori scartati perché “difettosi”, ottimizzando ognuno di essi per i suoi reali punti di forza sul campo.
Il film è tutto incentrato sul personaggio di Bean, del quale si alternano la scarna e triste vita privata e il lavoro da General Manager, che si compenetrano delineando il bel ritratto di una personalità controversa: tanto straripante, affetto da deliri di onnipotenza e privo di senso del limite sul lavoro quanto dolce e protettivo con l’adorata figlia dodicenne nel suo intimo. L’incontenibile Billy Bean è un vero distruttore, incompreso e al contempo temuto, per il suo coraggio di rompere le regole di un sistema ormai vecchio e consunto. Molto bravo Brad Pitt a interpretarlo, tanto da offuscare il pur bravo Johan Hill e un Philip Seymour Hoffman mai così sottostimato, almeno in rapporto al minutaggio concesso. Moneyball non è un film sul Baseball giocato, che non si vede mai sul campo se non negli innesti di filmati d’archivio, ma è il racconto di un’idea etica, se vogliamo politica, di management sportivo. Quella con la quale l’iconoclasta Billy Bean pensa di poter vincere la Major Leage infischiandosene delle capricciose star, e riservando loro il trattamento spesso meritato: concependo la squadra come collettivo vero, per la quale l’algebra e la statistica rappresentano solo lo spunto di partenza. L’idea che a comandare siano il gioco , le strategie e il collettivo, e non gli assegni a fondo illimitato di magnati milionari erogati a star svogliate e straviziare.
Moneyball si fa anche rappresentazione di impeccabili qualità tecnico artistiche: regia funzionale ed efficace al servizio di una sceneggiatura solidissima, impreziosite da un fotografia elegante ma sobria e da ottimi attori. Pur peccando di qualche minuto di troppo che appesantisce un ritmo altrimenti sempre elevato, Moneyball riesce ad avvincere con un tema non proprio immediato, - specialmente per chi di baseball ci capisce poco - e si fa rappresentazione della Hollywood mainstream nell’accezione migliore del termine.
7.5

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