LaFabbricaDeiSogni
mercoledì 7 dicembre 2011
ATTACK THE BLOCK di Joe Cornish [29° Torino Film Festival]
martedì 6 dicembre 2011
INSIDIOUS di JAMES WAN
lunedì 5 dicembre 2011
MONEYBALL - L'ARTE DI VINCERE di Bennett Miller (2011) [29° TORINO FILM FESTIVAL]
La Hollywood mainstream nel suo abito migliore: grande sceneggiatura e un ottimo Brad Pitt per un film sul baseball che non parla di baseball
giovedì 17 novembre 2011
PONTYPOOL (Bruce McDonald, 2009)
I pregevolissimi titoli di testa ci portano in un Canada gelido e tempestoso, dove un consumato deejay locale con l’aspetto el’atteggiamento da cowboy dei giorni nostri di appresta a cominciare una nuovagiornata di lavoro nello scantinato che ospita la sua stazione radio. In cerca
di qualche scoop da dare in pasto agli assopiti ascoltatori della sua radio di
provincia Grant, questo è il nome del protagonista, si collega con un “inviato speciale” che gli riporta gli avvenimenti del giorno, ma è evidente fin da subito che non si tratterà di una
giornata come le altre.
Occorre svelare il meno possibile di Pontypoool, il cui punto di forza principale è proprio l’ottima gestione dei tempi narrativi in rapporto al graduale disvelamento degli eventi che terranno inchiodati lo spettatore alla sua poltrona e i protagonisti ai loro microfoni, collegati solo
con essi al mondo esterno e costretti ad assistere impotenti al precipitare della situazione al chiuso del loro bunker.
Questo Kammerspiel a basso budget con un occhio – ma sarebbe meglio dire un’orecchio – a Orson Welles e un altro alla tensione e alle tematiche del cinema di John Carpenter, assicura un’ora e mezza di suspance cristallina e di destrezza attoriale: L’ottimo Stephen McHattie, prestato dal teatro, si trova a suo agio in un set circoscritto e claustrofobico. Nel film, girato con un budget contenuto, l’elemento scatenante la paura infatti non deriva dal visibile ma da un traballante collegamento in radiofrequenza che trasmette il senso di assedio e minaccia di un ignoto nemico esterno, lasciando che sia l’immaginazione dello spettatore a costruirne un’immagine. Ed è così che, infatti, la tensione scema mano a mano che il film si avvicina alla sua più naturale conclusione e scopre le sue carte, proprio quando il media radiofonico cede il posto a quello più classicamente cinematografico. Si potrebbe perciò, neanche troppo banalmente, che Pontypool sia un film sulla parola e sul linguaggio, piuttosto che sulla visione, sul medium radio, piuttosto che sul cinema. Il film di McDonald non inoltre manca di gettare i semi per succosi spunti di riflessione: le tematiche cronemberghiane e Carpenteriane rielaborate con le teorie semiotiche sul codice linguistico, il potere della parola, l’idea del linguaggio come virus
contagioso.
Nonostante un finale non all’altezza delle premesse, un film con poche buone idee ben piazzate.
mercoledì 26 ottobre 2011
I WANT TO BE A SOLDIER, di Christian Molina, 2011
Alex ha otto anni e sogna la carriera da astronauta. Ma quando sua madre rimane incinta di due gemelline i suoi cominciano a trascurarlo per riversare tutta la loro attenzione sulle nuove arrivate. Il ragazzino, lasciato solo davanti alla tv in preda ad immagini violente, sviluppa un’ossessione per la guerra e per la violenza, diventando un bullo violento e sociopatico.
Premiato al festival di Roma dello scorso anno dal “Premio Marc'Aurelio Alice nella città sotto i 12 anni”, il film di Christian Molina, produzione spagnola ma con la partecipazione dell’ex soubrette Valeria Marini nei panni sia di produttrice che di attrice, ci ha messo un’anno ad uscire nelle sale. Lodevoli gli intenti: parlare di come i soggetti deputati all’educazione dei fanciulli, laddove deboli, siano rimpiazzati dai media, in primis quello televisivo, con effetti devastanti sulla salute mentale del bambino. Lo svolgimento purtroppo però non è all’altezza dell’idea, a causa di una sceneggiatura che, nonostante le quattro mani impegnate a scriverla, mette troppa brace nel calderone e finisce per annegare lo spunto in un mare di luoghi comuni superficiali.
L’escalation violenta di un dolce ed educato ragazzino a bullo violento e reazionario è inoltre gestita male, con troppe ellissi e passaggi a vuoto. Tra televisione violenta, videogiochi splatter, genitori assenti e scuola inefficace stupisce che internet manca all’appello dei luoghi comuni sulla "diseducazione" infantile. Cadendo nel predichino sterile del film a tesi, I want to be a soldier banalizza un tema – quello della violenza veicolata dai media – che non ammette leggerezze. Eppure almeno un paio di sequenze realmente audaci e disturbanti lasciano immaginare che con un po’ più di coraggio e voglia di rischiare a quest’ora staremmo parlando di un altro film. Non bastano purtroppo la bella prova del piccolo Fergus Riodan e la grottesca comparsata di Robert “Freddy Krueger” Englund nei panni di un bizzarro preside-psicoanalista – da vedere la sua “terapia d’urto”, indubbiamente la cosa migliore del film – per risollevare il film dal dimenticatoio a cui è ineluttabilmente destinato.
4/10
recensione pubblicata su www.filmedvd.it